Per ora è chiaro che non si tratta solo di "quanti", ma anche di "quali": un terzo delle quasi 60.000 specie conosciute, infatti, è a rischio estinzione
Il 21 novembre scorso si è celebrata la Giornata nazionale degli alberi, un terzo delle 58.497 specie arboree del pianeta rischia l’estinzione a causa nostra. Lo evidenzia il rapporto State of the world’s trees al termine di cinque anni di studi dell’organizzazione Botanic gardens conservation international (bgci.org). Per fortuna ci sono anche buone notizie, come l’accordo sulla piantagione di mille miliardi di alberi entro il 2030 siglato al recente vertice G20 di Roma, in linea con la strategia di inverdimento urbano prevista dal Pnrr, e con il modello elaborato anni fa dal botanico Stefano Mancuso, docente di Arboricoltura all’Università di Firenze, per bloccare gli effetti del cambiamento climatico. Sembra un numero spropositato, ma corrisponde alla metà degli alberi che abbiamo tagliato negli ultimi due secoli. Su questo fronte, giunge provvidenziale anche l’impegno a stroncare la deforestazione entro il 2030 firmato da 105 Paesi al summit Cop26 di Glasgow.
Ma andiamo con ordine. 17.500 specie di alberi sono in pericolo e 440 di esse sono già sull’orlo della scomparsa. "La prima causa di tale declino è il disboscamento per fare spazio all’agricoltura", spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano e autore di La resilienza del bosco (Mondadori). "La seconda è la grande richiesta di legnami pregiati (mogano, ebano, palissandro) che danneggia le foreste con la più alta biodiversità. La terza minaccia è la crisi climatica in corso, che non dà tempo alle piante di adattarsi a nuove condizioni". In tutti i casi, le nostre scelte di consumatori sono determinanti.
Il Brasile ha il triste primato di 1.788 specie di alberi a rischio, pilastri di ecosistemi straordinari, come ricordano le immagini della mostra Amazônia di Sebastião Salgado (al Maxxi di Roma fino al 13 febbraio 2022). In Europa è minacciato il 58 per cento delle essenze native. L’Italia ha la flora arborea più ricca del Vecchio continente con 156 specie, ma non mancano le criticità: "Abbiamo molti microclimi e siamo sulla rotta migratoria seguita dagli alberi durante l’ultima glaciazione, per questo motivo da noi sopravvivono specie uniche, come l’abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis), con meno di duecento esemplari". Endemici della Sicilia e in situazione critica sono pure Sorbus busambarensis, Zelkova sicula e Rhamnus lojaconoi. "Entro l’anno sarà pubblicata la lista rossa degli ecosistemi forestali italiani: ci sono interi habitat a rischio. I più fragili sono i boschi ripari di salici e ontani, fondamentali per l’equilibrio idraulico dei fiumi, spesso abbattuti per far posto ad attività umane. Lo stesso vale per i querceti di pianura: la quercia farnia, tipica di questi ambienti, potrebbe presto scomparire". A ciò si aggiungono i danni di nuove malattie e specie aliene. "Uno degli ultimi patogeni giunti da lontano è il fungo asiatico che colpisce il frassino. L’ailanto e il ciliegio tardivo, che sta colonizzando i nostri boschi, sono le piante invasive più dannose".
L’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio appena stilato dall’Arma dei Carabinieri e dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) attesta un incremento del 18,4 per cento dei boschi italiani negli ultimi dieci anni. "È una buona notizia, ma la maggioranza è in stato di abbandono: servirebbe promuoverne una gestione attiva", ha commentato Diego Florian, direttore di Forest stewardship Council, spiegando che un ambiente curato consente un maggiore stoccaggio di CO2. "Solo il 15 per cento dei nostri boschi ha un piano di gestione», ribadisce Vacchiano, «ma per fortuna è in arrivo entro l’anno una nuova Strategia forestale nazionale". Va poi tenuto conto che nelle città, oltre alla CO2, le piante assorbono l’inquinamento, mitigano il clima, ombreggiano, intercettano la pioggia e, secondo alcuni studi, sono perfino connesse a un minore tasso di criminalità, così proliferano le iniziative di riforestazione urbana (TreeCities, Forestami, WeTree, Treedom). "Oltre a piantare alberi, impariamo anche a prendercene cura per farli vivere in salute", raccomanda Stefano Lorenzi, arboricoltore della rete Climbcare (climbcare.eu) con certificazione Etw (European tree worker). "I protocolli già adottati all’estero dimostrano che accudire gli alberi nei primi otto anni di vita con annaffiature estive e potature assicura la loro indipendenza per i successivi 20 anni, mentre noi li abbandoniamo al loro destino, nonostante siccità sempre più lunghe e spesso fatali. Dovremmo anche rinunciare a varietà sensibili ai picchi di calore, come betulle e ciliegi da fiore".
Gli errori di progettazione sono tanti. "Costringiamo le piante in poca terra, ignorando l’importanza di radici sane. È impossibile far vivere bene un albero sopra un parcheggio, in 80 cm di terra: serve spazio", continua Lorenzi. "Calpestio e passaggio dei mezzi, poi, compattano il terreno, prima causa di sofferenza per gli alberi, ma basterebbe iniettarvi aria e biostimolanti. Nel Nord Europa si usano marciapiedi “galleggianti”, semplicemente appoggiati, e pavimentazioni in calcestruzzi traspiranti e permeabili, così le radici non devono rompere l’asfalto per respirare". Serve un cambio di mentalità, dunque. "In Italia gli alberi fanno paura: temiamo che cadano, detestiamo le foglie… Certo, se un esemplare è pericolante va messo in sicurezza, ma tenendo conto che si parla di alberi-habitat, con nicchie ecologiche. Comuni virtuosi come Torino, Varese e Parma stanno valutando i servizi resi dalle piante in termini economici e un paese, Pavullo nel Frignano (Modena), ha assicurato un cedro del Libano come opera d’arte".
Al centro di molte attenzioni sono pure i quattro castagni che si contendono il podio di Albero italiano più amato del 2021 e in libreria è appena arrivato Alberi millenari d’Italia, di Tiziano Fratus (Gribaudo), ritratto della Penisola dedicato ai giganti che meritano di essere visti almeno una volta nella vita, dai più bei larici dell’arco alpino ai pini loricati del Pollino.
Possiedi un bosco e non sai come gestirlo? Ci pensa la community di Forest Sharing (forestsharing.it): professionisti del settore che sanno come prendersene cura in modo sostenibile, creando valore per la società e profitti per te. Fondata a Firenze da un team di dottori in Scienze forestali per contrastare l’abbandono del territorio montano, la startup crea benefici per ecosistemi e clima attraverso un sistema di economia circolare. Basta inserire gratuitamente i dati del terreno sulla piattaforma e i tecnici sceglieranno con te le forme di valorizzazione, dal taglio sostenibile del legname agli usi educativi, quindi si divideranno i guadagni.
Piccoli, resilienti e adatti ai giardini di città
Acero globoso. Con chioma sferica compatta, dà rifugio agli uccelli e cresce lentamente, fino a 4 metri.
Arancio amaro. Ha fiori profumati in primavera e frutti ornamentali; resiste a punte di gelo a -5°C.
Corbezzolo. È l’albero nazionale: la chioma verde scuro in dicembre porta fiori bianchi e frutti rossi.
Clerodendro. Lussureggiante, ha fiori bianchi profumati in estate e bacche blu in autunno.
Ginkgo “Mariken”. Forma compatta del Ginkgo biloba, con foglie a ventaglio color oro in autunno. Tollera caldo e freddo.
Magnolia stellata. La più resistente alla siccità; a inizio primavera si ricopre di corolle bianche.
Melograno nero. Ha fiori rossi in estate e frutti viola su chioma dorata in autunno. Resiste a terreni pesanti.
Mirabolano. Con fioritura bianca e frutti a buccia rossa. Sopravvive a siccità e terreni argillosi.
Orchidea di Hong Kong. Ibrido sempreverde con corolle carminio, tollera la siccità, non il sottozero.
Salice del deserto. Ha foglie sottili e fiori rosa a trombetta in estate. Resiste a caldo, freddo e smog, purché piantato su terreni leggeri.