Quaresima di preghiera e di speranza per le epoche più buie - Vatican News

2022-07-23 01:59:20 By : Ms. Alice Sun

Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano 

Il Mercoledì delle Ceneri, primo giorno di Quaresima dei simbolici quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua, è l’attesa in cammino verso la certezza del trionfo della Risurrezione di Cristo. È necessario intraprendere queste giornate purificandoci attraverso uno stile di vita più sobrio e nella preghiera.

..quia pulvis es et in pulverem reverteris “…perché polvere eri e polvere tornerai”

La frase, tratta dalla Genesi (3, 9), contraddistingue il rito del Mercoledì, quando l’officiante le pronuncia cospargendo il capo dei fedeli di cenere e rimandando così al significato di penitenza, di consapevolezza della finitezza umana. Proverbiale è infatti la frase “cospargersi il capo di cenere” per significare pentimento e che nella Bibbia ricorre varie volte.  

Non è un caso, quindi, che Papa Francesco abbia scelto proprio oggi come giorno di preghiera e digiuno per la pace nel mondo, in questo nostro tempo della storia doloroso e oscuro.

Il Mercoledì delle Ceneri ha ispirato artisti e letterati che hanno tentato di dare forma di parola o di immagine a un momento che sembra simile a un brusco risveglio dopo la sfrenatezza del carnevale, una presa di coscienza che attraverso la penitenza vuole intraprendere un cammino di nuova consapevolezza e rafforzare la fede.

Tra tutti, il poema in versi di Thomas Stearns Eliot, grande poeta statunitense, è il più celebre e di sicuro il più profondo ed emozionante.  Ash Wednesday - appunto Mercoledì delle Ceneri - è stato composto tra il 1927 e il 1930. I versi sono stati ritenuti quelli che segnano la sua conversione all’anglicanesimo e dove il poeta si stacca da una visione materialistica per approdare a una tensione ascensionale spirituale.

Non sono versi facili e immediatamente comprensibili. Si tratta di poesia coltissima, ricca di citazioni, da Cavalcanti a Dante, da Pascal alla Bibbia e alle preghiere mariane. Sono, dicevamo, difficili da cogliere a pieno nel loro significato letterale, ma la loro suggestione lascia un segno profondo in chi li legge, un senso stupefatto di profonda bellezza. Piuttosto, si possono cogliere con l’intuito, secondo l’etimologia latina del “guardare profondamente dentro” che si rivela spesso una chiave di decifrazione fondamentale.

L’attacco è sconsolato e di rinuncia, come se si avessero ali che non servono a volare ma “soltanto piume che battono nell’aria”:

Perché io non spero di ritornare Perché io non spero Perch'i' no spero di tornar giammai è l’incipit della Ballatetta di Guido Cavalcanti che in esilio pensava di non tornare più alla sua Toscana. Successivamente, i versi di Eliot trasmutano attraverso una sorta di combattimento interiore, tra la salita verso l’alto e il peso terreno che trattiene e rende incerti.  Poi, le parole sembrano investite dal vento, terse come nuvole, e si trasformano in preghiera. ST. Eliot si rivolge a Dio in modo incessante e intenso. Prosegue con immagini di un paesaggio stupefacente, dove la natura si mostra con i suoi elementi più belli, dove sembra giardino anche il deserto, e animali simbolici: l’aquila, tre leopardi bianchi, la cavalletta... Risalendo agli stilemi del Dolce Stil Novo, Eliot parla di una donna amata e poi parla della Vergine, l’unica Rosa, Signora dei Silenzi: mescola e trasfigura l’amore terreno che diventa purissimo amore spirituale.

Maria, Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte, spirito del giardino Non permettere che ci si irrida con la falsità Insegnaci a aver cura e a non curare Insegnaci a starcene quieti.

Parole che, rispetto alla prima parte del poema, sono ormai staccate dalla dimensione materiale, prima descritta come un teschio e nude ossa, poi smaterializzandosi nella voce dell'anima.  Non intendiamo addentrarci nelle difficili esegesi letterarie ma invitiamo, proprio oggi, a leggere questi bellissimi versi per lasciarci trasportare dalla sua suggestione, dalla musicalità, dai colori e dal suo significato profondo, che ci consola. Per immergerci nella bellezza, anzi da essa farci travolgere, in una primavera che è ormai imminente. Perché il senso di paura e sbigottimento lasci spazio alla speranza.

Nel giorno delle Ceneri, e in un periodo difficile come questo, seguiamo l’invito del Papa: preghiamo e digiuniamo. E rendendo grazie per la bellezza di ciò che ancora ci circonda, e dalla quale non ci si deve sentire mai separati, volgiamoci a Dio, perché oda il nostro grido.

Perch'i' non spero di ritornare

Perch'i' non spero Perch'i' non spero di tornare Desiderando di questo il talento e dell’altro lo scopo Non posso più sforzarmi di raggiungere Simili cose (perché l’aquila antica dovrebbe spalancare le sue ali?) Perché dovrei rimpiangere La svanita potenza del regno consueto?

Poiché non spero più di conoscere La gloria incerta dell’ora positiva Poiché non penso più Poiché ormai so di non poter conoscere L’unica vera potenza transitoria Poi che non posso bere Là dove gli alberi fioriscono e le sorgenti sgorgano, perché non c’è più nulla

Poiché ora so che il tempo è sempre il tempo E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio E che ciò che è reale lo è solo per un tempo E per un solo spazio Godo che quelle cose siano come sono E rinuncio a quel viso benedetto E rinuncio alla voce Poiché non posso sperare di tornare ancora Di conseguenza godo, dovendo costruire qualche cosa Di cui allietarmi.

E prego Dio che abbia pietà di noi E prego di poter dimenticare Queste cose che troppo  Discuto con me stesso e troppo spiego Poiché non spero più di ritornare Queste parole possano rispondere Di ciò che è fatto e non si farà più Verso di noi il giudizio non sia troppo severo

E poiché queste ali più non sono ali Atte a volare ma soltanto piume Che battono nell’aria L’aria che ora è limitata e secca Più limitata e secca della volontà Insegnaci a aver cura e a non curare Insegnaci a starcene quieti.

Prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte Prega per noi ora e nell’ora della nostra morte.

Signora, tre leopardi bianchi sedevano sotto un ginepro Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà Delle mie braccia e del mio cuore e del mio fegato         e di quanto Era stato contenuto nel cavo rotondo del mio cranio.  E Dio disse Vivranno queste ossa? vivranno Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo: Per la bontà di questa Signora E per la sua grazia, e perché Ella onora la Vergine in meditazione, Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono Qui dismembrato offro all’oblio le mie gesta, e il mio amore Alla posterità del deserto e al frutto della zucca. È questo che ristora Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni indigeste Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca veste. Che la bianchezza dell’ossa espii fino all’oblìo. In esse non c’è vita. E come io sono dimenticato e vorrei essere Dimenticato, così vorrei dimenticare Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E Dio disse Profetizza al vento, al vento solo perché Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono stridendo Col ritornello della cavalletta, dicendo

Signora dei silenzi Quieta e affranta Consunta e più integra Rosa della memoria Rosa della dimenticanza Esausta e feconda Stanca che doni riposo La Rosa unica Ora è il giardino Dove ogni amore finisce Terminato il tormento Dell’amore insoddisfatto Il più grande tormento Dell’amore soddisfatto Fine dell’infinito Viaggio verso il nulla Conclusione di tutto ciò Che non può essere concluso Linguaggio senza parola E parola di nessun linguaggio Grazia alla Madre Per il Giardino Dove tutto l’amore finisce. Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti  Noi siamo liete d’essere disperse, poco bene facemmo l’una all’altra, Nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia, Dimenticando noi stesse e l’un l’altra, unite Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi Spartirete. E né divisione né unione Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità.

Là dalla prima rampa della seconda scala Mi volsi e vidi in basso La stessa forma avvinta alla ringhiera Sotto la nebbia nell’aria fetida In lotta col demonio delle scale Dall’ingannevole volto della speranza e della disperazione.

Alla seconda rampa della seconda scala Li lasciai avvinghiati, volti in basso; Non v’erano più volti e la scala era oscura, Scheggiata e umida, come la bocca guasta E bavosa di un vecchio, o la gola dentata di un antico squalo.

Là sulla prima rampa della terza scala Una finestra a inferriata con il ventre gonfio Come quello di un fico e al di là Del biancospino in fiore e della scena agreste Quella figura dalle spalle ampie vestita in verde e azzurro Affascinava il maggio con un flauto antico. Sono dolci le chiome arruffate, le chiome brune arruffate sulla bocca, Lillà e chiome brune; L'ansia, la musica del flauto, le pause e i passi della mente sulla terza scala, Svaniscono, svaniscono; al di là della speranza e al di là della disperazione La forza sale sulla terza scala.

Signore, non son degno Signore, non son degno ma di’ una sola parola.

Colei che camminò fra viola e viola Che camminò Fra i diversi filari del variato verde In bianco e azzurro procedendo, colori di Maria, Parlando di cose banali In ignoranza e scienza del dolore eterno Che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando Che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti

Rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia In blu di speronella, blu del colore di Maria, Sovegna vos

Ecco gli anni che passano in mezzo, portando Lontano i violini e i flauti, ravvivando Una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa

Luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta. Passano gli anni nuovi ravvivano Con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano La rima antica con un verso nuovo. Redimi Il tempo. Redimi La visione non letta nel sogno più alto Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro.

La silenziosa sorella velata in bianco e azzurro Fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino, Il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non         parlò parola

Ma la sorgente zampillò e l’uccello cantò verso la terra Redimi il tempo, redimi il sogno La promessa del verbo non detto e non udito

Finché il vento non scuota mille bisbigli dal tasso

E dopo questo nostro esilio

Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa Se la parola non detta e non udita È non udita e non detta, Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito, Il Verbo senza parola, il Verbo Nel mondo e per il mondo; E la luce brillò nelle tenebre e Il mondo inquieto contro il Verbo ancora Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso

               O mio popolo, che cosa ti ho fatto.

Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà La parola? Non qui, ché qui il silenzio non basta Non sul mare o sulle isole, né sopra La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia, Per coloro che vanno nella tenebra Durante il giorno e la notte Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui Non v’è luogo di grazia per coloro che evitano il volto Non v’è tempo di gioire per coloro che passano in mezzo al rumore e negano la voce

Pregherà la sorella velata per coloro Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e si oppongono A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione e stagione, tempo e tempo, Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per coloro che attendono Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata Per i fanciulli al cancello Che non lo varcheranno e non possono pregare: Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono

                O mio popolo, che cosa ti ho fatto.

Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso Per coloro che l’offendono e sono Terrificati e non possono arrendersi E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano Nell’ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre Il deserto nel giardino il giardino nel deserto Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme di mela.

                O mio popolo.

Benché non speri più di ritornare Benché non speri Benché non speri di ritornare

A oscillare fra perdita e profitto in questo breve transito dove i sogni si incrociano Il crepuscolo incrociato dai sogni fra nascita e morte (Benedicimi padre) sebbene non desideri più di desiderare queste cose Dalla fìne finestra spalancata verso la riva di granito Le vele bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano Le ali non spezzate

E il cuore perduto si rinsalda e allieta Nel perduto lillà e nelle voci del mare perduto E Io spirito fragile s’avviva a ribellarsi

Per la ricurva verga d’oro e l’odore del mare perduto S’avviva a ritrovare Il grido della quaglia e il piviere che ruota E l’occhio cieco crea Le vuote forme fra le porte d’avorio E l’odore rinnova il sapore salmastro della terra sabbiosa

Questo è il tempo della tensione fra la morte e la nascita Il luogo della solitudine dove tre sogni s’incrociano Fra rocce azzurre Ma quando le voci scosse dall’albero di tasso si partono Che l’altro tasso sia scosso e risponda.

Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte, spirito del giardino Non permettere che ci si irrida con la falsità Insegnaci a aver cura e a non curare Insegnaci a starcene quieti Anche fra queste rocce, E’n la Sua volontade è nostra pace E anche fra queste rocce Sorella, madre E spirito del fiume, spirito del mare, Non sopportare che io sia separato

E a Te giunga il mio grido.